DURATA: Lungometraggio
GENERE: Drammatico
Cosa accadrebbe ad un’artista di insuccesso se gli venisse offerta la possibilità di diventare un’artista di successo? Non potendo più dare la colpa al sistema e alla mancata meritocrazia, riuscirebbe comunque a realizzarsi? La libertà artistica richiede una forte onestà intellettuale e un alto grado di coscienza di sé e sarà proprio questa la sfida e la causa del disorientamento a cui saranno sottoposti Luis, Bruno e Gimmy, personaggi egocentrici, bugiardi e ipocriti ma allo stesso tempo feriti, tristi e soli.
Una mano femminile, staccandosi dalle mani maschili su cui poggia, si disperde nella fitta nebbia emiliana di una notte invernale del 1996. Bruno rimane ancora un attimo seduto sulle scale della chiesa a vedere allontanarsi l’ennesima sagoma di una donna delusa, poi, spingendosi in avanti, si alza in piedi avviandosi nella foschia. Bruno è un pittore di 42 anni dal viso glabro, anonimo, sotto una mezza calvizie e una corona di capelli scuri; vive in una piccola casa essenziale e per mantenersi, oltre a vendere sporadicamente qualche suo quadro, ad ogni alba lavora presso un piccolo forno.
Al secondo piano del solito pub, seduti al tavolo di fronte la vetrina che affaccia sulla strada, i suoi due unici amici stanno già consumando liquidi ad alta gradazione da un po’. Gimmy è uno scrittore appassionato di filosofia ridotto a scrivere di moda per una piccola testata giornalistica di provincia. Ha una barba non curata ma sottile e i capelli neri, che arrivano a coprirgli le orecchie, terminano sulla fronte con una frangia simmetrica. Ha 37 anni ma un fisico di 25, alto e robusto in spalla. Luis è il più piccolo dei tre, ha 35 anni ed è un polistrumentista; ha un naso scivoloso che poggia su una striscia di baffi folti e dei capelli castani che scendono sulle spalle, separati da una riga al centro della testa. Spesso nei discorsi cita delle parole spagnole per ricordarsi delle sue origini, nato in Italia da padre spagnolo e madre italiana. È solito esibirsi in alcuni locali ma raramente viene retribuito, perciò quando non suona fa dei piccoli furti per sopravvivere. Bruno ascolta la discussione in atto dove i due esaltano la libertà dell’arte ma condannano la prigionia dell’artista, costretto spesso a seguire le regole del mercato per poter trasformare agli occhi della gente, un semplice prodotto biografico in ciò che comunemente viene definita arte. I tre, dopo aver buttato giù l’ultimo amaro, si ritrovano in una strada desolata e senza contorni; la nebbia e l’alcool hanno cancellato ogni punto di riferimento. Il loro passo conferma l’assoluta conoscenza sia del posto che di quel clima ma ad un tratto, in tutto quel grigio, Luis nota sulla strada, una macchia nera orizzontale che lo distrae. I tre cercano di rianimare l’uomo steso a terra ma non appena questo emette un verso d’ubriachezza, i tre amici scoppiano in una risata collettiva. Spontaneamente Luis immerge le sue dita nelle tasche del cappotto del signore regalando al tatto un contatto che non riconosce, poi con un’andatura simile ad una corsa, riprende a camminare. I due compagni anche se straniti, decidono di seguirlo e lasciare l’uomo in strada. Questo, fino ad ora con lo sguardo sull’asfalto, per un attimo muove la testa e prima di chiudere gli occhi osserva su una vetrina spenta, il riflesso di tre sagome disarticolate che frettolosamente si allontanano. I tre amici raggiungono la casa di Bruno e tagliando corto, Luis estrae l’oggetto rubato all’ubriacone in strada. È un anello con tre pietre di rubino. Bruno sembra spaventato mentre Gimmy, al contrario, esplode in una risata isterica. Luis ricomponendosi con estrema lucidità espone il suo piano: vendere l’anello, dividere in parti eque l’umile bottino e separarsi definitivamente sia dalla città che tra di loro per non destare sospetti; l’unico modo per aggiornarsi sulle loro vite sarà leggere gli articoli che le testate giornalistiche dedicheranno ai tre artisti, perché promettono di investire quei soldi solamente per produrre arte. Una settimana dopo, all’ingresso della stazione, sotto l’enorme orologio a lancette, Luis prima consegna le rispettive parti ai suoi amici, poi, dopo averli stretti calorosamente tra le braccia, si allontana verso un binario. Gimmy fa lo stesso verso un’altra uscita mentre Bruno, intontito e nostalgico, rimane inchiodato sullo stesso punto a vedere i corpi dei suoi amici, disperdersi tra la folla. È la prima volta che a lasciare qualcuno non è lui.
Luis si trasferisce a Madrid e dopo aver trovato sistemazione in un bel condominio centrale, trova uno studio di registrazione ed incide il suo primo disco post rock. In una nota casa discografica un produttore, dopo aver ascoltato il suo disco, cinicamente critica quel genere musicale e gli consiglia di passare a qualcosa di popolare. Fuori dagli studi discografici, mentre pensieroso fuma la sua sigaretta, Luis viene avvicinato da un musicista flamenco che, a seguito di una chiacchierata piacevole, gli propone di andarlo a trovare in sala prove perché avrebbero bisogno di un chitarrista ma lui, infastidito da quella proposta, getta il mozzicone di sigaretta in strada e va via. Luis intanto conosce la sua vicina di casa, una studentessa figlia di un ricco notaio con cui spesso condividono la solitudine e le frustrazioni della vita. Sarà proprio questa frequentazione a trascinarlo nella banalità e nella visione superficiale della realtà tanto da presentarsi un giorno in sala prove del batterista che tempo prima incontrò davanti la casa discografica e iniziare così una carriera come musicista di flamenco e come consumatore ossessivo di tutti i vizi che lo allontaneranno sempre di più dai suoi obiettivi e dal suo post rock. Una sera, a letto con la figlia del notaio, mentre lei gli ordina una posizione sessuale particolare, lui senza pensarci troppo la esegue e confuso, mentre il suo bacino continua a lavorare, ad alta voce confessa a se stesso e alla ragazza, di essere diventato un esecutore, non solo nella musica ma anche nell’amore; ammette di aver perso fiducia nel valore della propria opinione e di aver sempre inseguito l’affermazione di se stesso invece che il significato della vita, che non è fare l’amore, ma crearlo. La ragazza emette un urlo di piacere e Luis, distraendosi, riprende a fare sesso con foga.
Bruno, colto dalla tristezza per l’abbandono dei suoi amici e dalla paranoia per i soldi rubati, decide di posticipare una possibile partenza e di rimanere quindi nella sua piccola città. Una mattina si reca nel punto in cui quella notte insieme a Gimmy e Luis incontrarono quell’uomo misterioso a terra e scopre che, proprio di fronte quella strada, c’è la vetrina di un barbiere che lo affascina particolarmente. I due barbieri che vi lavorano sono neri ma vestiti interamente di bianco e tutto il mobilio, i muri, i grembiuli, il pavimento, il soffitto, è bianco. Tutto è bianco. Da quel giorno, Bruno passerà le giornate chiuso a casa, cercando di colmare un profondo malessere interno attraverso la pittura.
Giulia, la proprietaria della mano che Bruno lasciò scappare via, per riconquistare il pittore, affitta a sue spese un posto fatiscente con lo scopo di allestirgli una mostra coi suoi quadri e facendogli credere che a dedicargli quel posto sia stato un curatore d’arte, convince l’uomo a portare tutti i suoi dipinti in quello spazio a lui dedicato. Il giorno dell’inaugurazione, sotto una fitta pioggia, Bruno raggiunge la sua mostra ma non appena i suoi piedi arrivano all’ingresso, un fiume marrone gli bagna i polpacci mentre alcune sue opere ci galleggiano dentro perdendo colore. Il soffitto non ha retto il nubifragio e i pochi quadri rimasti appesi, per via dell’acqua, non sembrano più i suoi. Quattro volontari trasportano l’unica tela intatta verso l’uscita, una tela che raffigura due barbieri neri che, in un salone totalmente bianco, tagliano i capelli ad altri due ragazzi neri. Rientrato a casa, Bruno sale su una sedia, lega per bene una corda ad un tubo che rasenta il soffitto, poi, come se indossasse una medaglia d’oro circonda il suo collo con la corda, e mentre con i piedi allontana violentemente la sedia da sotto le suole delle scarpe, con lo sguardo verso la finestra spalancata sussurra “anche d’estate, vedo la nebbia anche d’estate”.
Gimmy, con l’obiettivo di trovare nuova linfa creativa si licenza e si trasferisce a Buenos Aires, città d’origine del suo mito letterario, Jorge Luis Borges. Le sue giornate procedono tra lunghe passeggiate, conoscenze e riflessioni sulla realtà ma una mattina, in un autobus affollato, un italiano gli si avvicina per chiedergli indicazioni. E’ Fabio, un uomo di 45 anni dalla faccia pulita e pieno di sicurezze con la quale inizia una piacevole conversazione che procede per diverse ore fino a quando lo sconosciuto, in città per un torneo di poker, invita lo scrittore ad accompagnarlo quella stessa sera al casinò dove si terrà il torneo. Gimmy, da sempre attratto da situazioni ambigue e nuove, accetta galvanizzato. Ripensando ad una citazione di Platone, “si scopre più di un uomo in un’ora di gioco che in un giorno di conversazione”, si stupisce di come Fabio, attorno a quel tavolo sembra essere una persona diversa da quella conosciuta. Finito il torneo proseguono la serata in un ristorante e Gimmy, con l’obiettivo di conoscere maggiormente se stesso, propone al suo nuovo amico di passare insieme i giorni che seguono per apprendere i trucchi del poker. I due, tra casinò, cene e passeggiate, intraprendono una vera amicizia che terminerà fisicamente con un sincero abbraccio al quinto giorno, quando Fabio giunge al termine della vacanza. Gimmy, appassionatosi al gioco, diventa un assiduo frequentatore di quel casinò e senza rendersi conto, dedicherà sempre meno tempo alle riflessioni e alla scrittura. Una notte, rientrato a casa, dopo aver poggiato sulla scrivania le chiavi e le banconote guadagnate, dà uno sguardo alla sua macchina da scrivere. Tra i tasti Q e 2, in controluce, sbuca una piccola ragnatela. Gimmy reagisce a quella scoperta con un pianto isterico.
Fabio di notte è un giocatore d’azzardo professionista ma di giorno ciò che fa e dove vive è un mistero. Fisicamente sembra un’atleta e mentalmente sembra un matematico, ma l’unica cosa che Gimmy sa di lui, è che è un giocatore da tavolo incredibile ed un uomo pieno di cultura, che spesso cita versi biblici per metaforizzare sulla vita e sulle giocate.
Gimmy, una mattina d’estate, durante la colazione sfoglia in un bar un giornale locale ed in fondo ad una pagina, in un trafiletto legge “Italia, forte pioggia allaga una mostra e l’artista si ammazza. Salvata solamente un’opera che una chiesa ha acquistato all’asta”. La foto allegata è un primissimo piano di Bruno. Lo scrittore torna in Italia con l’obiettivo di recuperare l’unico quadro del suo amico rimasto intatto e dopo varie ricerche scopre che la chiesa che lo ha acquistato si trova ad un piccolo comune vicino la sua vecchia città. Gimmy raggiunge la parrocchia e decide di entrarci nonostante ci sia una celebrazione in corso. Anche se con il naso ancora all’insù, rapito dalla navata centrale e dai dipinti della chiesa, le orecchie gli riportano l’attenzione perché quello che ha appena ascoltato è una delle citazioni della Bibbia che ripeteva sempre il suo amico Fabio. Insospettito finalmente mette gli occhi sull’oratore in veste bianca e ciò che vede lo sconvolge: il prete che sta parlando è Don Fabio. Gimmy reagisce spontaneamente nascondendosi dalla visuale di Don Fabio dietro il corpo di un credente seduto davanti a lui, poi, dopo un momento di riflessione, con decisione ma con lo sguardo basso, alzandosi dalla panca abbandona la chiesa.
In un giorno d’estate, in un paesino spagnolo, Luis e la sua band suonano ad un matrimonio un pezzo divertente, poi, terminato il brano, Luis introduce e interpreta un pezzo malinconico dedicandolo al suo amico Bruno; nello stesso momento, Gimmy seduto davanti alla sua scrivania di Buenos Aires, batte sgraziatamente le dita sulla macchina da scrivere: “tutto ho già visto, tutto ho già letto. Eppure tutto ancora mi piace. Purché non sia opera mia, tutto mi piace. Allora invece che scrivere farei meglio a vedere, farei meglio a leggere, farei meglio a stare zitto. A stare zitto”; contemporaneamente in Italia, Don Fabio, prima di una celebrazione, si sistema tonaca e colletto davanti al nuovo quadro appeso in sacrestia, quello di Bruno. Avvicinandosi più accuratamente a quello splendore, nota che sulla vetrina ad acquerello, in basso a destra, sono tracciate con un tratto delicato, quasi impercettibile, tre sagome nere verticali ed una orizzontale. Il suo volto si fa più contratto e solo dopo un ampio sforzo di memoria gli viene in mente un ricordo confuso: era una notte d’inverno e lui, di ritorno da una vittoria a poker, sbronzo perse i sensi. Riuscì ad aprire gli occhi e a trovare lucidità solo per un attimo, e in quell’attimo, alzando lo sguardo dall’asfalto e curvando la testa, vide riflesso ad una vetrina, oltre che se stesso, tre macchie lunghe e nere che andavano disperdendosi tra la nebbia. Poi richiuse gli occhi.